Luigi Dell’Olio
Milano M eglio puntare su asset e prodotti ben noti. È la convinzione diffusa tra le famiglie italiane in tema di allocazione dei risparmi. Un approccio che mostra la corda a fronte di uno scenario in evoluzione, che ha abolito il concetto di “risk free” e impone un atteggiamento propositivo per assicurarsi una crescita sostenibile nel tempo. Sui 8.500 miliardi di euro che costituiscono la ricchezza degli italiani secondo una stima di Bankitalia, quasi dueterzi fanno riferimento ad asset reali (in primis immobili e terreni), mentre il restante terzo è relativo ad attività finanziarie. Anche se l’acquisto di una casa può essere visto non solo come investimento, ma anche nella finalità abitativa, resta comunque lo squilibrio tra le due voci, oggi più evidente che nel passato alla luce di un mercato — come quello immobiliare — che vede i prezzi scendere senza soste da cinque anni. Qualcosa si sta però muovendo verso un riequilibrio di quella che è la situazione attuale. Sicuramente sull’atteggiamento dei piccoli risparmiatori pesa ancora la crisi finanziaria degli scorsi anni, come emerge dall’ultima relazione annuale della Consob: nel 2013, la partecipazione delle famiglie che investono in azioni, obbligazioni, risparmio gestito e polizze vita si è attestata al 26,3%, un dato superiore al 24,7% del 2012, ma distante dal 38% registrato nel 2007, ultimo anno pre-crisi. Non solo: le azioni continuano a essere presenti nei portafogli di pochi nuclei familiari (appena il 3,5%), mentre più diffuso è l’investimento nelle obbligazioni bancarie (9,5%), che pure possono risultare più rischiose dell’equity, nel risparmio gestito (11%) e nei titoli di Stato (13,7%). Pesi che risentono di retaggi culturali duri a morire: per un lungo periodo, infatti, è bastato investire in Btp per assicurarsi rendimenti a due cifre percentuali, senza preoccuparsi di scegliere il prodotto più indicato, ma limitandosi a incassare le cedole e rinnovare gli investimenti una volta giunti a scadenza. Adesso però le cose non stanno più in questo modo. Con l’avvento dell’euro, infatti, i tassi sono scesi e un ulteriore livellamento si è avuto negli ultimi anni, a fronte degli stimoli arrivati dalla Bce per reagire alla crisi. Così le ultime emissioni di metà luglio hanno visto il Tesoro collocare il Btp triennale a un tasso di rendimento lordo dello 0,84%, mentre la scadenza settenale garantirà il 2,17% annuo e quella a 15 anni il 3,44%. Si tratta del minimo storico sulle scadenze più lunghe, che impone riflessioni sull’opportunità di destinare a questi prodotti quote importanti di portafoglio. Anche perché, come si è visto durante la crisi del 2010-2012, il debito sovrano non è più da considerarsi un asset risk-free, non essendo stato risparmiato dalla crisi sistemica che ha colpito i mercati nel biennio nero. Senza dimenticare l’importanza che riveste la diversificazione per assicurare un equilibrio al portafoglio di investimento. Per altro, le scelte di investimento non risultano coerenti con quelle che sono le aspettative per il medio-lungo periodo. Secondo uno studio di Legg Mason Global Asset Management, infatti, un terzo degli italiani non si sente sicuro in merito all’età di pensionamento (con una quota ben più elevata se si considerano i più giovani), contro appena un quinto dei tedeschi e il 16% dei britannici. Inoltre, siamo alla quota più bassa della Ue (66%) nella fiducia di riuscire a mettere da parte negli anni a venire abbastanza denaro da poter vivere una vecchiaia serena. Va comunque detto che lo scenario non è immobile. Il risparmio gestito è reduce da una lunga corsa e a maggio ha messo a segno una raccolta netta (data dalla differenza tra nuove sottoscrizioni e riscatti) per 7,1 miliardi di euro, con il contributo sia dei prodotti flessibili e obbligazionari, sia dei comparti azionari. Anche le scelte in campo assicurativo stanno evolvendo, come emerge dall’ultimo rapporto dell’Ania (l’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici). Dopo la forte crescita registrata nel 2013, con i premi assicurativi vita in aumento del 22,1%, la produzione annua per l’anno in corso è attesa intorno a quota 110 miliardi di premi, con un ulteriore balzo del 29%. Un traguardo che appare a portata di mano se si considera che nei primi quattro mesi dell’anno l’incremento è stato del 50% rispetto allo stesso periodo del 2013. La crescita ha riguardato sia le polizze vita classiche, con premi per 24,9 miliardi, sia i contratti di tipo unit linked (prodotti assicurativi al cui interno è possibile inserire fondi comuni, comparti di sicav, etf, titoli azionari e obbligazionari e altri strumenti finanziari), che hanno accumulato oltre 5 miliardi di premi. Segno evidente di come, in una fase di perdurante incertezza tra la crisi prolungata dell’economia e la disoccupazione in crescita, i risparmiatori sono alla ricerca di sicurezza, ma al tempo stesso cresce anche la quota di coloro che guardano al rendimento. Consapevoli che, a fronte di tassi ai minimi per i titoli di Stato, occorre andare alla ricerca di opportunità sui mercati, muovendosi in un’ottica di lungo periodo per evitare di lasciarsi influenzare dai saliscendi connaturati all’ambito finanziario. Va poi ricordato che queste soluzioni offrono un valore aggiunto in termini di impignorabilità, possibilità di scegliere beneficiari anche fuori dall’asse ereditario (ricordando anche che, in caso di decesso dell’assicurato, il capitale liquidato agli eredi sarà esente sia dalla tassazione sulle rendite finanziare sia dalla tassazione sulle successioni) e fiscalità (con la possibilità di rimandare al momento del riscatto il pagamento della tassazione sulle plusvalenze maturate), che vanno al di là del semplice rendimento. Ad orientare la scelta verso le polizze vita anche l’impignorabilità e la possibilità di scegliere beneficiari fuori dall’asse ereditario